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La Meloni inizia il percorso che porta l’Italia alla Terza Repubblica con una radicale riforma costituzionale

La Meloni inizia il percorso che porta l’Italia alla Terza Repubblica con una radicale riforma costituzionale

Il primo ministro Giorgia Meloni vuole condurre l’Italia verso una Terza Repubblica con una riforma costituzionale che eviti la tecnocrazia, l’instabilità politica o la creazione di esecutivi con manovre parlamentari o formule alla Frankenstein. “Abbiamo una responsabilità storica sulle nostre spalle: consolidare la democrazia alternativa e unire finalmente l’Italia alla Terza Repubblica, con la riforma costituzionale che questo governo vuole attuare”.

Con queste parole Georgia Meloney ha spiegato l’intenzione del suo governo di iniziare oggi il lungo cammino verso la riforma costituzionale. Questa è una grande sfida per Meloni perché dell’argomento se ne parla da quarant’anni e molti dei suoi predecessori a Palazzo Sigi hanno fallito nell’impresa. Il governo Maloney prevede di approvare oggi nel governo un disegno di legge di riforma costituzionale che consentirebbe ai cittadini di eleggere direttamente il primo ministro.

Se approvata dal Parlamento (se non dovesse ottenere la maggioranza dei due terzi è necessario un referendum), la riforma rappresenterebbe una vera e propria rivoluzione nel sistema politico italiano. Basti citare qualche dato: l’Italia ha conosciuto nove governi negli ultimi dodici anni, compreso l’ultimo presieduto da Silvio Berlusconi, caduto nel novembre 2011. Da allora si sono succeduti nella sede principale, Sigi Palace. del governo, Mario Monti, Enrico Letta, Matteo Renzi, Paolo Gentiloni, Giuseppe Conte (che ha guidato due governi), Mario Draghi e Giorgia Meloni.

Se ci fossero state le riforme del leader di Fratelli d’Italia, i tecnici Monteo o Tragio Sigi non sarebbero arrivati ​​a palazzo, ma Letta, Renzi o Gentiloni non lo avrebbero fatto perché nessuno dei due aveva vinto le elezioni ed erano Primo ministro. . Dopo il terremoto politico di Tangentopoli, tra il 1992 e il 1993, infatti, è finita la Prima Repubblica e un’intera classe politica, con 13 primi ministri alla guida di 20 governi. Se fosse stata attuata la riforma proposta dall’attuale inquilino di Palazzo Sigi, gli italiani avrebbero conosciuto tre uomini come capi dell’amministrazione: Berlusconi, Romano Prodi e Meloni.

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Resistenza

Il progetto di riforma costituzionale aveva già avviato un profondo dibattito politico, con i partiti di opposizione di sinistra in disaccordo con i termini proposti dalla destra per riformare la costituzione repubblicana entrata in vigore nel gennaio 1948. Con l’elezione diretta del Primo Ministro, caso unico nelle democrazie occidentali, al capo del governo viene conferito molto potere popolare ma, secondo alcuni critici del piano, non dispone delle armi necessarie per regolare la sua maggioranza parlamentare perché vogliono preservare i loro poteri. Il capo dello Stato è eletto dal Parlamento come persona neutrale con un ruolo di moderazione ed equilibrio.

Ad esempio, il Primo Ministro non avrà il potere di sciogliere le Camere, potere riservato al Presidente, che avrà il potere di accettare o respingere i nomi dei ministri proposti dal Capo del Governo. Ma rispetto a una persona come il Primo Ministro eletto direttamente dai cittadini, i poteri del capo dello Stato che controlla il governo e il primo ministro sono alquanto limitati. Un potere significativo per sciogliere il parlamento spetta ai capi di governo di Spagna (con un decreto firmato dal re), Germania o Gran Bretagna, i cui primi ministri non sono eletti direttamente dai cittadini.

Da oggi inizierà la lunga marcia che durerà circa un anno e mezzo una volta che il Consiglio dei Ministri avrà approvato i cinque capitoli del testo di riforma costituzionale. Potrebbe essere approvato alle Camere se la coalizione di destra si unisse ad altre forze o partiti centristi più piccoli per raggiungere una maggioranza di due terzi in parlamento (Italia Viva di Matteo Renzi, a favore). Ma questa prospettiva è più complicata e non sembra realizzabile oggi. La riforma dovrà poi essere sottoposta a referendum, con rischio politico. È il caso di Matteo Renzi, che nel dicembre 2016 ha perso il voto popolare sulla sua riforma costituzionale.

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L’ex sindaco di Firenze ha dovuto dimettersi da primo ministro e tornare a casa perché aveva manovrato per diventare il capo del Pd, spodestando Enrico Letta da capo del governo e diventando il quarto primo ministro in quattro anni. Un record improbabile nella Terza Repubblica che Georgia Meloni sogna.