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L’Italia che ha abbassato il sipario: un Paese con 500 sale abbandonate

L’Italia che ha abbassato il sipario: un Paese con 500 sale abbandonate

Gonzalo Sanchez

Roma, 3 novembre (IF).- L’Italia ha una meritata reputazione come paese culturale, nonostante la chiusura di circa 500 teatri nelle strade delle sue città. Ma molti non rinunciano a questo panorama, come l’imprenditore e musicologo inglese che sogna di ricostruire a Venezia la prima opera pubblica della storia.

Il depauperamento dei teatri abbandonati colpisce il Paese da nord a sud, dalla Lombardia di Dario Fo, passando per la Roma di Anna Magnani, fino alla Napoli di Pulcinella e Edoardo De Filippo.

Un problema che ha avuto una forte eco al recente Festival del Cinema di Roma con la proiezione del documentario “Via Sicilia 57-59. Giorgio Albertazzi. Il teatro è vita”, che ripercorre l’eredità dell’attore nel centenario della sua nascita.

Il film ricorda quando, nel 1963, Albertazzi, diretto da Franco Zeffirelli, recitò per due mesi “Amleto” a Roma con grande successo di pubblico, diventando poco dopo il primo italiano a far rivivere il principe di Shakespeare proprio a Londra.

“È un esempio di teatro che in Italia non esiste più”, dice a EFE uno dei registi del documentario, regista e conduttore televisivo Pino Strapioli.

A Roma, ad esempio, sono ancora chiusi i teatri che in passato erano dedicati alle quasi leggendarie “serratas”, come l’Eliseo, che vide la nascita della compagnia di Luchino Visconti negli anni Cinquanta, o lo storico Teatro Cometa.

Lo stesso vale per la valle, considerata una delle più belle d’Europa, ovvero la Valle delle Arti, fondata nel 1937 accanto all’emblematica Via Veneto, il teatro “Dolce Vita”. E sono solo alcuni: “È molto triste”, lamenta.

«Questo perché sono troppi, ma anche perché non si investe più nella cultura, perché il teatro non è visto come un’industria e genera poco, perché i soldi del governo per gli spettacoli dal vivo sono davvero pochi da anni e sono scarsamente distribuito.”

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Strapioli conclude: «Non abbiamo un progetto culturale originale», sottolineando che nonostante questo il pubblico continua a dirigersi verso le poltrone.

L’altro regista del documentario, Fabio Masi, riceve questa agenzia all’ombra di quello che era il Teatro Cerenita di Roma, un dedalo di stanze a due passi dalla Fontana di Trevi oggi tristemente immerse nell’oscurità e in un pungente odore di muffa.

«La chiusura di oltre 500 sale è un numero drammatico, ed è un’emergenza diventata cronica negli anni», lamenta.

A suo parere si è delineata una “spaccatura di rete” nel modo in cui le nuove generazioni ricercano l’intrattenimento, ma ciò non deve impedire la tutela del patrimonio: “Non intendo fermare l’oceano con le mie mani, ma quando arriva un fenomeno dobbiamo imparare a gestirlo”, sottolinea.

Intanto in Italia esistono molte forme di dramma “di strada”, sociale e giovanile che secondo Massi possono aiutare a creare una strategia futura: “Possiamo cominciare da lì, e dare alcuni luoghi abbandonati ai sognatori e non agli speculatori”.

A proposito di ideali, un esempio notevole è il caso di Paul Atkin, l’uomo d’affari e musicologo inglese che dall’altra parte del telefono ha rivelato all’EFE il suo sogno: ricostruire il Teatro San Cassiano di Venezia, fondato nel 1637 come primo teatro pionieristico al mondo teatro dell’opera pubblico Livello mondiale nella vendita di biglietti.

L’edificio fu demolito nel 1812 dalle forze francesi di Napoleone, ma Atkin sottolinea che, sebbene ci siano poche prove del suo aspetto, gli archivi veneziani stanno cominciando a fornire dati su questo sito storico e sui suoi strumenti barocchi.

Il mondo della musica ha già trovato l’edificio in cui ricrearlo, il Palazzo Doña Balbi, sulle rive del Canal Grande, ma il progetto richiede una grossa somma di denaro ed è alla ricerca di investitori, che preferisce chiamare “ fondatori”. ”

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Tutti i suoi progetti, ispirati al precedente del Globe di Shakespeare a Londra, valgono complessivamente 60 milioni di euro, anche se ora cerca solo 24 milioni di euro: metà per acquistare il palazzo, gioiello dell’architettura veneziana, e un’altra metà per acquistare il palazzo, gioiello dell’architettura veneziana. dodici. Per iniziare a lavorare.

“Abbiamo un’occasione d’oro per Venezia e per il mondo per ricostruire il primo teatro d’opera pubblico del mondo”, ha promesso l’eterno burocrate di Bill Pais, senza perdere l’entusiasmo a prova di bomba, che è ancora in attesa di approvazione. Arriva. Evie

GSM/signor/CG

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