sabato, Ottobre 5, 2024

La vita lavorativa in Spagna è più breve che nelle grandi economie europee

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Mentre cresce il dibattito su come prolungare o incentivare la vita lavorativa per raggiungere la sostenibilità del sistema pensionistico e quindi allungare gli anni di contribuzione, il rapporto Funcas diffuso ieri mette in luce la dura realtà che devono fare i conti con i conti pubblici: il previsto la durata della vita lavorativa in Spagna è inferiore a 35 anni. Sei in meno dei Paesi Bassi e quattro in meno della Germania.

I dati, basati su dati Eurostat, confermano che nel resto delle maggiori economie europee (eccetto l’Italia), in media, un lavoratore trascorre più anni nella propria professione prima di godere del meritato congedo di uno spagnolo, che deve solo aspetta 34,9 anni, per così dire, prima di poter andare in pensione.

Per contestualizzare i dati, bisogna riconoscere che, se questo concetto è inteso come il tempo totale stimato durante il quale un quindicenne rimarrà attualmente nel mercato del lavoro, l’euro è aumentato ininterrottamente. La regione dal 2000 (32,2 anni) al 2019 (36,1 anni). Quindi, in generale, noi europei lavoriamo da più anni. E anche in Spagna. Ma in termini relativi, esistono ancora differenze tra i paesi.

Inoltre, questo aumento è in gran parte dovuto al restringimento del divario di genere, poiché sempre più donne entrano nel mercato del lavoro. In genere, nei paesi in cui il divario è basso, anche la vita lavorativa è più lunga.

L’anno scorso, i paesi della zona euro con la più lunga aspettativa di vita lavorativa sono stati i Paesi Bassi (41,0 anni), l’Estonia (39,2 anni), la Germania (39,1 anni) e la Finlandia (38,8 anni).

Deboli disincentivi al pensionamento anticipato e scarsa formazione per gli anziani sovraccarichi

Al contrario, l’Italia (31,2 anni) e la Grecia (32,8 anni) hanno avuto la vita lavorativa attesa più breve e sono state anche caratterizzate da significative differenze di genere (la vita lavorativa stimata per gli uomini supera rispettivamente i 9,3 e 7 anni per le donne).

Elisa Shulia, direttrice degli studi sociali di Funcas e coordinatrice della newsletter Newsletter Focus sulla comunità spagnola Spiega le ragioni di questo disallineamento comparativo in Spagna rispetto al resto delle economie. C’è invece chi vorrebbe allungare la vita lavorativa ma non può per il semplice motivo che le imprese preferiscono sostituire il lavoratore maturo con un lavoratore più giovane con conoscenze più recenti. In questa sezione appare il problema della mancanza di formazione, soprattutto per il gruppo di testa in Spagna. Un fattore differenziale con la Germania, ad esempio, dove i lavoratori esperti hanno un background formativo più moderno che meglio si adatta alle esigenze delle aziende.

D’altra parte, c’è chi non vuole continuare a lavorare. E qui bisogna studiare i disincentivi al prepensionamento, che in Spagna impongono un’aliquota più alta sugli stipendi inferiori all’alto, e che c’è chi ritiene che procedere all’uscita dal mercato del lavoro non significhi un sacrificio eccessivo (a parte da quello) rispetto ad altri discorsi sullo stimolo al lavoro).

Ci sono poi, in misura minore, coloro che stanno accelerando il loro ingresso nel mondo delle pensioni perché l’incertezza che circonda la riforma ora li fa preferire per assicurarsi il meritato sollievo dalla minaccia del fattore sostenibilità che entra in gioco. Possono continuare fino al fondovalle, ma preferiscono gettare la spugna.

“Non è facile dire ‘lavoreremo come i tedeschi’. Perché ci sono molti motivi che accorciano la vita lavorativa in Spagna ed è difficile implementare un unico quadro normativo per tutti i casi”, conferma Chulia.

Gli esperti di Funcas affermano di modificare gli standard per aumentare l’aspettativa di vita

In ogni caso, secondo questo esperto, il caso spagnolo mostra l’urgente necessità di una riforma del sistema che inevitabilmente alzi l’età pensionabile in linea con l’aumento della speranza di vita. A suo avviso, è una questione economica, ma anche una questione di giustizia intergenerazionale. Qualsiasi riforma dovrebbe impedire alla prossima generazione di godere di molti più anni da pensionata rispetto alla generazione precedente. Chi va in pensione adesso può guadagnare tranquillamente circa 1.100 euro per vent’anni – cifra che molti giovani oggi non possono lavorare – quando i genitori, con un’aspettativa di vita all’epoca, sono in grado di farlo solo per pochi anni”.

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