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Le spiagge private in Italia scioperano per protestare contro la revisione delle concessioni | economia

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Ombrelloni e lettini sono rimasti chiusi venerdì mattina presto su diverse spiagge private in Italia in segno di protesta contro la decisione del governo di indire un bando pubblico per lo sfruttamento di questi spazi, in attuazione delle normative europee.

Lo sciopero dei gestori degli stabilimenti balneari privati, durato due ore, dalle 7.30 alle 9.30, l’orario meno affollato della giornata, è stato un gesto più simbolico che efficace e ha avuto un impatto notevole. Follow-up eterogeneo nelle diverse regioni costiere italiane.

I cosiddetti “stabilimenti balneari” in Italia rappresentano una parte importante del litorale del Paese. Secondo uno studio condotto l’anno scorso dall’autorità esecutiva, occupa il 33% delle spiagge e delle zone della costa rocciosa che fanno parte del demanio pubblico. Questi spazi non possono essere venduti, vengono dati solo in concessione e i gestori posizionano lettini, ombrelloni, bar sulla spiaggia, bagni e altri servizi.

La concessione delle spiagge è tradizionalmente una questione difficile nel Paese transalpino e non esiste una normativa nazionale che disciplini la questione. Le licenze venivano concesse decenni fa senza concorso pubblico, e da allora sono state rinnovate automaticamente, quasi sempre agli stessi proprietari e alle stesse famiglie, che pagano affitti molto bassi, ancor di più rispetto agli alti profitti che ottengono. Questo sistema ha in più occasioni favorito l’infiltrazione della mafia nella gestione delle spiagge. L’ultima proroga è stata approvata dal governo Giorgia Meloni nel 2022 e sta valutando la possibilità di estendere le licenze fino alla fine del 2024. In quella data o all’inizio del 2025 dovrebbero svolgersi le gare pubbliche, secondo la direttiva Bolkestein del 2006 della Commissione europea. Il sindacato che costringe a mettere a gara questi spazi. L’Italia non lo ha mai fatto. La questione è così intricata che nessun governo negli ultimi decenni ha osato fare questo passo, forse a causa della grande influenza e potere che i manager – che impiegano un gran numero di dipendenti – hanno a livello elettorale sia a livello locale che nazionale.

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La maggioranza dei gestori degli stabilimenti balneari si oppone ai bandi, così come gran parte dei leader politici. La stessa Meloni si è sempre dichiarata contraria a questa pratica, ma ora non ha potuto evitare di prorogare i termini per i bandi di gara per recepire le norme europee. L’Italia è stata sanzionata più volte per questo tema e nel 2020 la Commissione Europea ha aperto una procedura d’infrazione contro il paese transalpino, senza però che ci siano state praticamente conseguenze.

In Italia, sempre più istituzioni spingono per i bandi pubblici. Nel 2023 il Consiglio di Stato, il massimo organo di giustizia amministrativa italiana, che in precedenza si era pronunciato sulla stessa linea, ha confermato che le concessioni avrebbero dovuto scadere a dicembre 2023 e che prorogarle per un altro anno era illegale. All’inizio dello scorso anno e nel gennaio di quest’anno, il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha inviato una lettera ai presidenti delle due Camere e al primo ministro in cui sottolineava che l’estensione dei privilegi è contraria al diritto europeo. E con le disposizioni del Consiglio di Stato.

I proprietari degli stabilimenti balneari che hanno aderito allo sciopero, in particolare, denunciano la mancanza di norme nazionali in materia di appalti, in cui ciascun ente locale possa dettare le proprie regole in autonomia, il che comporterebbe disparità di trattamento tra alcune località. Inoltre, le associazioni dei commercianti chiedono un risarcimento finanziario per gli affiliati che se ne vanno e che perderanno il loro franchising a causa delle gare pubbliche.

La questione è così controversa che anche le diverse fazioni non riescono a mettersi d’accordo su quali dati monitorino lo sciopero. I sindacati organizzati parlano di seguito allo sciopero dell’80%, mentre le associazioni dei consumatori parlano di “fallimento” e di “impegno inferiore alle aspettative”.

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Nel 2019 il governo ha incassato circa 115 milioni di euro dalla vendita delle licenze per lo sfruttamento delle spiagge, mentre le stime indicano che il conto per gli stabilimenti balneari ammonta a circa 15 miliardi di euro all’anno. Ombrelloni e lettini costano circa 30 euro al giorno a persona e negli ultimi anni sono diventati molto più cari. Il leader di Azioni, Carlo Calenda, ha denunciato che alcuni gestori pagano per il privilegio spiaggia circa 4mila euro all’anno, una cifra simile a quanto costa a una famiglia i permessi di ingresso per i mesi estivi.

Alcuni attivisti e cittadini riuniti nell’Associazione Mari Libero hanno iniziato a organizzare proteste sulle spiagge per rivendicare il diritto a usufruire dei beni pubblici gratuitamente e senza alcun compenso. Quello che fanno è posizionare ombrelloni e asciugamani sulle spiagge gestite da commercianti privati ​​e pubblicare la decisione del Consiglio di Stato che dichiara illegale la proroga delle concessioni.

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