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Le ripercussioni di una pandemia nella medicina del disagio in Occidente

Le ripercussioni di una pandemia nella medicina del disagio in Occidente

La pandemia di COVID-19 potrebbe essere per Pechino ciò che Chernobyl è per Mosca: l’inizio della fine. Il futuro della Cina non è prevedibile, ma alla luce delle rivolte in corso, la malattia è diventata la più grande minaccia per Xi Jinping da quando è arrivato all’apice del potere dieci anni fa.

All’inizio della pandemia, lo standard di isolamento è stato rapidamente imposto, mentre medici e scienziati cercavano soluzioni per il futuro. Non c’è dubbio che questa politica ha salvato vite umane, ma grazie a vaccini e farmaci antivirali è stato subito chiaro che si poteva aprire, anche per evitare le conseguenze economiche e sociali derivanti dalla diffusione del Corona virus e dalla rigidità delle precauzioni adottato.

Invece Xi Jinping si è aggrappato alla politica dei virus zero, forse perché non si rendeva conto che la sua ricerca scientifica era molto indietro rispetto a quella occidentale… Tutto, infatti, fa pensare che la Cina sia protetta dal virus peggio di quanto sembri, all’interno sue mutazioni. Diventare endemico è difficile da controllare, anche con la perdita della capacità di uccidere. Ma, come sottolinea The Economist, mantenendo una politica di blocco, nonostante gli effetti sull’economia, si sta creando uno scetticismo generale su una delle affermazioni chiave del PCC: che solo la sua forza può garantire stabilità e prosperità.

Curiosamente, in Occidente, la lotta alla pandemia – con copiose dimostrazioni di eroismo da parte degli operatori sanitari – è diventata il fattore scatenante che ha evidenziato i limiti dei sistemi sanitari. Questi problemi hanno poco o nulla a che fare con l’assurdo stereotipo della sinistra liberale spagnola, che riduce quasi tutto a demonizzare il privato come futile difesa numanista della salute pubblica. Trovo l’ultimo segno delle radici comuni del malessere nello sciopero dei medici liberali francesi, cioè per i quali la medicina è ancora, anche se non del tutto, professione liberale.

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Trattare la medicina con trattati marxisti sulla proprietà dei mezzi di produzione, o capitalisti sull’efficienza economica a tutti i costi, disumanizza le cure mediche, demoralizza i professionisti e aumenta il malcontento dei cittadini.

Possiamo continuare a sognare le meraviglie dell’applicazione dell'”intelligenza artificiale” per curare le malattie, soprattutto nel campo della medicina preventiva. Ma per ora, la pianificazione quantitativa non smette di gettare a terra i resti delle sue previsioni fallite. Non sto parlando di politiche comuniste come i piani quinquennali. Penso ai Paesi democratici – come la Spagna – che da tempo hanno adottato una politica di numerus clausus nell’insegnamento accademico delle professioni sanitarie: una politica, peraltro, così coerente con il cosiddetto “spirito di Bologna”, e ispirata all’università riforme che non sembrano trarre grandi vantaggi.

Pochi giorni fa è stato indetto nel Regno Unito il primo sciopero infermieristico in oltre cento anni. Una lotta collettiva insolita come quella dei medici francesi, che hanno iniziato il mese di dicembre chiudendo i loro ambulatori. Coincide con il secondo sciopero dei biologi che lavorano nei laboratori di analisi.

Logicamente hanno pretese economiche, ad esempio, per quanto riguarda l’importo delle consulenze pagate dalla Previdenza Sociale: attualmente 25 euro. Ma il motivo non è tanto per guadagnare di più quanto per lavorare meglio, perché le tariffe attuali non bastano per affidarsi ad un assistente di segreteria, quando infatti il ​​30% delle loro ore di lavoro va a incombenze burocratiche. Inoltre, i bilanci della previdenza sociale, approvati con scarso dibattito, poiché il governo ha attuato l’equivalente di un decreto legge, aggravano i problemi causati dalla carenza di medici e dal maggior numero di pazienti assegnati a ciascuno.

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Il timore di un peggioramento delle condizioni di lavoro ha portato a una sorta di “fronte comune” di quasi tutti i sindacati del settore, compresi quelli che rappresentano tirocinanti medici e farmacisti: ci sono voluti trenta ospedali universitari in tribunale, che non avrebbero rispettato le decisioni sull’orario di lavoro. Consiglio di Stato, la più alta corte nell’ambito amministrativo francese.

Non conosco la data di nascita dei sindacati medici. La sua creazione risponde in gran parte all’approccio economico ad un’attività molto personale, che prima era disciplinata da associazioni professionali, di natura giuridica più consone alla sua funzione. Sfortunatamente, è diventato gradualmente burocratico e mercificato. I sindacati possono essere una risposta fallimentare alla perdita della liberalizzazione tradizionale della professione medica. E questo, a mio avviso, è il nocciolo della questione, difficilmente affrontato da governi e organizzazioni sindacali. Le conseguenze sulla qualità dell’assistenza ai pazienti sono evidenti, sia in ambito previdenziale che in quello assicurativo privato.